• venerdì , 29 Marzo 2024

Corsie Lexus

la commercializzazione della vita sociale

 di Mario Melino

Introduzione
Come è ben noto a tutti gli automobilisti, “Lexus” è acronimo di Luxury Exsportation United States, ovvero, il brand delle auto di lusso della Toyota originariamente pensato solo per gli Stati Uniti ma, successivamente, diventato uno status symbol e un elemento di distinzione in tutto il mondo. Per estensione, il termine è utilizzato per indicare l’accesso a pagamento a particolari servizi in condizioni di privilegio in rapporto agli utenti non paganti. Indica metaforicamente uno stile di vita che poggia sull’assunto che “tutto o quasi tutto” si può comprare, che i soldi, per chi sa farli, servono per “essere diversi”, per non stare nella massa, per trovare – in ogni circostanza della vita – la “corsia” privilegiata per raggiungere i propri scopi, di fatto, uno stile neoliberista: competitivo, amorale, utilitaristico, concretamente produttivo, sorretto dalla convinzione che “il mercato è tutto e risolve tutto”.
La mentalità “Lexus” poggia sulla convinzione che il valore dei beni si misuri esclusivamente dalla disponibilità a pagare, per cui non vi sono limiti ai “beni” che possono essere “messi sul mercato”. Tutto si può vendere se qualcuno è disposto a pagare.
Il neoliberismo, appunto, non domina solo i mercati, regola la vita delle persone, ne decide i destini, la collocazione sociale, il decoro dell’esistere. È penetrato come ideologia diffusa nelle pieghe della vita quotidiana e ispira i comportamenti di consumo, le relazioni sociali, le aspettative e le aspirazioni.
Non è stata solo l’avidità di pochi a giocare un ruolo determinante nella crisi finanziaria che ha infiammato l’Occidente dal 2007/2008, è stata, ritiene Michael J. Sandel, «l’espansione … dei valori di mercato in sfere della vita a cui essi non appartengono» e aggiunge: «Oggi, la logica del comprare e vendere non è più applicata soltanto ai beni materiali ma governa in misura crescente la vita nella sua interezza. È arrivato il momento di chiederci se vogliamo vivere in questo modo. (…) occorre riflettere a fondo sui limiti morali dei mercati. Occorre chiedersi se esiste qualcosa che il denaro non può comprare» (1).
Non solo il mercato, ma i suoi valori stanno diventando centrali nel vivere sociale: «siamo passati dall’avere un’economia di mercato all’essere una società di mercato»; la differenza è del tutto intuitiva: l’economia di mercato è uno strumento; la società di mercato è un modo di vivere e un sistema di valori (2). Le conseguenze del mutato universo assiologico sono sotto gli occhi di tutti, quanti le vedono?
Le argomentazioni sviluppate da Sandel in Quello che i soldi non possono comprare meritano attenzione e riflessione perché descrittive dei sottili mutamenti delle relazioni sociali e delle abitudini di vita delle persona. Il fatto che il lavoro presenti in prevalenza una ricca casistica statunitense non ne riduce il senso e il significato per noi “europei”; del resto, è dal secondo dopoguerra che tutte le mode, le tendenze, i prodotti e le invenzioni d’oltre oceano sono importati a velocità crescente e in modo troppo spesso acritico, a prescindere dalla loro utilità, bontà e valore.

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