• venerdì , 19 Aprile 2024

Insegnare i linguaggi dell’appartenenza

di Antonio Errico

Nessuno saprà mai con quale lingua Colui che creò gli esseri e le cose disse sia fatta la luce e sia fatto il buio, le acque, il firmamento, i rettili, le fiere, l’uomo a sua immagine e somiglianza.

Forse fu un lingua muta, silenziosa, forse fu soltanto un gesto, un fremito, un sospiro, ma certo venne prima degli esseri e delle cose, diede ad essi un nome prima di crearli.

Fu una parola, dunque. Indecifrata. Però in principio fu una parola. Il Verbo che era presso Dio. Che era Dio, come dice Giovanni nel Vangelo.

Probabilmente la condizione e la connotazione della lingua nella sua realizzazione concreta e funzionale di linguaggio è questa: venire prima, essere a-priori, nominare per designare una natura, un’appartenenza, un genere, un destino, un esistere irripetibile, un tempo  irreversibile.

Intorno all’asse del linguaggio ruota l’universo: visibile e invisibile, reale ed irreale, la forma e la sostanza, la verità e la menzogna, la concretezza e l’astrazione.

Senza la nominazione che avviene con il linguaggio, tutto quello che è si ritroverebbe privo di ogni possibilità di significare oltre l’immediatezza e il pragmatismo del suo servire, si consumerebbe nell’atto funzionale, non lascerebbe memoria, non produrrebbe scienza.

Senza il linguaggio non ci sarebbe sapere, probabilmente. Senza il linguaggio non si potrebbe dire com’è il mondo, passare da un’ esistenza ad un’altra, da generazione a generazione tutta la conoscenza conquistata, ogni competenza acquisita, l’abilità costruita con fatica e passione.

Dice Nicomede, un personaggio de I cani di Gerusalemme ( Theoria, 1998) di Fabio Carpi e Luigi Malerba: “ Il linguaggio, Ramondo, ricordatelo bene. Il linguaggio è tutto. Prima viene il linguaggio e dopo, eventualmente, se c’è, viene il mondo”.

Ogni conoscenza si esprime attraverso il linguaggio. Ogni realtà dell’uomo si manifesta con un linguaggio. E’ essa stessa linguaggio. Può essere un movimento, una ruga sul volto, uno sguardo. “C’è un linguaggio nei suoi occhi, nelle sue guance, nelle sue labbra” dice Shakespeare nel Troilo e Cressida.

Può essere silenzio.

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