• venerdì , 19 Aprile 2024

Una scuola migliore

di Rita Bortone

Questioni di aggettivi

Quando uscì il documento sulla buona scuola, mi domandai perché avevano scelto quel titolo, che a me non sembrava particolarmente significativo, e mi diedi come ipotesi di spiegazione il fatto che buona scuola è in fondo una locuzione molto diffusa nel linguaggio standard: mio figlio è fortunato perché frequenta  una buona scuola, i ragazzi sono sbandati perché non hanno una buona scuola e così via. E’ evidente che una buona scuola ha caratteristiche diverse a seconda di chi parla: può significare scuola rigorosa e severa, ma anche scuola dolce e comprensiva; può significare scuola che insegna seriamente le discipline e scuola che fa mille progetti innovativi. Insomma affermare che si vuole una buona scuola non significa molto se non si entra nel merito, se cioè non si definisce in cosa consiste questa “bontà”.

Tra le numerose cose che in questi giorni si leggono in merito al documento, ho letto che la CGIL sta conducendo la sua schermaglia col governo a cominciare dagli aggettivi: propone infatti, in alternativa o in aggiunta  ad una scuola buona, una scuola giusta. Ed anche questo aggettivo mi ha suscitato delle domande: che significa desiderare una scuola “giusta”? giusta per chi? in che cosa? giusta secondo quali parametri? Non ci è voluto molto per rendermi conto che, usato dalla CGIL, l’aggettivo significa molto: il termine “giusta” manifesta infatti in maniera inequivocabile il punto di vista del soggetto che lo ha concepito, il cui interesse primario non è rivolto alla scuola, ma alle condizioni di lavoro nella scuola, ed al patrimonio di diritti e di doveri dei lavoratori del settore. E’ giusto dunque che un sindacato voglia una scuola giusta, ho pensato, anche se non è assolutamente detto che una scuola giusta secondo criteri sindacali sia anche una scuola buona. Se proprio dobbiamo continuare a giocare con gli aggettivi, ritengo che la scuola pubblica, istituzione che nasce in funzione di un fine ben chiaro (istruzione e formazione della popolazione), per congruenza semantica non possa esser connotata come scuola buona o cattiva (ché la connotazione, come abbiamo detto, è troppo soggettiva e densa di visioni personali), né giusta o ingiusta (ché la connotazione risponde esclusivamente all’interesse e al punto di vista di chi ci lavora o di chi la fruisce), bensì come scuola efficace o inefficace, cioè capace o incapace di realizzare gli obiettivi dello Stato.

Ciò detto, i problemi non finiscono affatto, perché gli obiettivi della nazione non è detto che siano chiari e condivisi da tutti: ogni scuola pubblica, infatti, in qualunque tempo e in qualunque spazio, si caratterizza a seconda dell’idea che quel Paese (e chi lo governa) ha della società, della persona, della cultura, e delle interazioni tra le persone e tra le persone e la comunità.

Non ci siamo forse detto tante volte che la scuola gentiliana, pur con le connotazioni sociali e culturali che oggi generalmente rifiutiamo, era una scuola molto efficace, nel senso che era in grado di rispondere agli obiettivi che quella società le affidava (trasmettere la cultura nazionale, selezionare, preparare i quadri dirigenti), mentre la nostra scuola attuale, pur con le connotazioni sociali e culturali che oggi generalmente condividiamo, è del tutto inefficace, nel senso che non riesce a rispondere agli obiettivi che la nazione le affida oggi (alfabetizzazione per tutti e per ciascuno, successo formativo diffuso, inclusione e integrazione delle diversità, promozione delle eccellenze, orientamento al lavoro, sviluppo di competenze disciplinari e di cittadinanza, apertura alla cultura contemporanea, ecc. ecc.…)?

Eppure i principi pedagogici e sociali su cui è fondata la nostra scuola sono chiari, e nulla, oggi, mette in discussione questi principi. Mettiamoci comodi, quindi, e ragioniamo tranquillamente sui nuovi obiettivi e sulle nuove strategie che la buona scuola pone alla nostra discussione, provando a realizzare una scuola anche giusta (troppo facile giocare con la locuzione buona e giusta!), ma che non rinunci ad essere efficace.

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