• martedì , 19 Marzo 2024

Dividere la Scuola? Meglio sostenerla adeguatamente… senza distinzioni

La qualità della Scuola non passa dalla regionalizzazione del nostro sistema di educazione e di istruzione, bensì dalla volontà politica e dalla capacità di promuovere e favorire innanzitutto, senza soluzioni di continuità, l’efficacia dell’azione didattica e il benessere di tutti i docenti

di Antonio Santoro

 

La prospettiva della cosiddetta «autonomia regionale differenziata» incontra sempre più, giorno dopo giorno, perplessità e riserve di vario rilievo, e determina vivaci, decise contrapposizioni anche all’interno dell’attuale compagine di governo. Alberto Asor Rosa è tornato a considerarla ancora di recente, attirando “l’attenzione su un campo tematico forse meno discusso: e cioè la Scuola”, per sottolineare nuovamente che “non c’è ombra di dubbio che la Scuola, dalla materna all’Università, rappresenti, insieme con pochissime altre branche dello Stato, una delle strutture unitarie ancora funzionanti”; e che appare del tutto “chiaro che l’autonomia regionale differenziata avrebbe lo scopo di spezzare questa spina dorsale del Paese, ridurla in briciole, sottometterla a interessi particolari di ogni genere” (la Repubblica, 28 febbraio 2019).

 

Gianfranco Viesti annota, a sua volta, che pensare di “rapportare il finanziamento dei servizi al gettito fiscale significa stabilire un principio estremamente rilevante: i diritti di cittadinanza, a cominciare da istruzione e salute, possono essere diversi fra i cittadini italiani; maggiori laddove il reddito pro-capite è più alto”[1]. E prosegue manifestando  il convincimento che “una vera e propria regionalizzazione della scuola […] determinerebbe, ancor più in assenza della determinazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni da garantire sull’intero territorio nazionale, una crescente sperequazione nell’istruzione fra i giovani italiani; disparità negli aspetti normativi ed economici dei docenti; l’intrusione delle autorità regionali nelle finalità stesse della scuola”[2].

 

Le richieste di maggiore autonomia, da parte di regioni a statuto ordinario, suscitano preoccupazioni diffuse anche nel mondo della scuola militante e nelle relative rappresentanze sindacali, nettamente e dichiaratamente contrarie, queste ultime, all’ipotesi di regionalizzazione dell’istruzione pubblica

Maddalena Gissi, segretaria Cisl Scuola, ad esempio, ha scritto nel febbraio scorso: “Come si fa a non vedere la pericolosità di un progetto destinato ad accentuare disuguaglianze e squilibri che purtroppo già esistono e andrebbero per questo aggrediti e ridotti con più decisione, proprio facendo leva, fra l’altro, su un sistema di istruzione unitario e nazionale? Non possiamo assistere in silenzio alla balcanizzazione del sistema scolastico, in cui cambiano da una regione all’altra reclutamento e gestione del personale, composizione e competenze degli organi collegiali, possibilità di investimento che è invece indispensabile assicurare a tutti in una logica di garanzia delle pari opportunità. Il nostro dissenso nel merito è totale. Ma non c’è solo quello: abbiamo fortissimi dubbi anche sulla legittimità della procedura che si sta seguendo per dare più poteri alle Regioni, ben al di là di quanto consente l’art. 116 della Costituzione”.

 

Se si crede davvero che scuola e università siano, per usare le parole del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, “le istituzioni più importanti per una collettività che voglia puntare a uno sviluppo duraturo ed equilibrato” (la Repubblica, 19 marzo 2019), la prospettiva da coltivare non è certo quella della regionalizzazione del sistema-scuola. E, per dirla tutta, non servono neppure valutazioni estemporanee e improprie della professionalità docente.

Le strade da percorrere sono invece altre. Spesso si indicano quelle che fanno riferimento alle necessità – urgenti, si aggiunge – di garantire maggiori risorse alle istituzioni scolastiche autonome, di rendere viepiù adeguati i percorsi di formazione iniziale dei docenti, di riconsiderare criticamente le diverse forme di reclutamento del personale scolastico.

Io però preferisco riprendere, al momento, la  specifica richiesta di azioni politiche, a favore dell’attività educativa e didattica, che si concretizzino e si sviluppino secondo una logica performativa e una logica supportiva

 

“Entrambe mirano ad accrescere l’efficacia degli insegnanti, diversa però è la strategia su cui si fondano e diverse sono quindi le leve di policy che privilegiano. La logica performativa si fonda sull’idea che gli insegnanti debbano essere incentivati […] ad accrescere la propria efficacia aumentando il proprio impegno e la propria competenza, mentre la leva supportiva si propone di creare le condizioni di contesto che possano incrementare l’efficacia degli insegnanti, accrescendone il benessere. Si tratta evidentemente di una contrapposizione utile per fini euristici, perché nella realtà le due logiche di intervento tendono a sovrapporsi”[3].

 

Si ritiene, giustamente, che le due logiche debbano in primo luogo caratterizzare e orientare la formazione in servizio dei docenti, in modo da renderla effettivamente “permanente e strutturale”, e tale comunque da non essere più “percepita dagli insegnanti italiani come qualcosa di poco utile e lontano dalle loro difficoltà quotidiane”[4].

L’utilizzo diffuso delle due logiche nelle iniziative di formazione in servizio dovrebbe essere tuttavia preceduto dalla attuazione di “un piano pluriennale di sperimentazioni controllate, al fine di individuare in modo rigoroso le pratiche di maggiore efficacia” e quindi di “passare da un quadro in cui le innovazioni vengono introdotte nella scuola spesso senza metodo a uno in cui si introducono con metodo innovazioni di dimostrata efficacia”[5].

 

 

[1] Gianfranco Viesti, Verso la secessione dei ricchi? Autonomie regionali e unità nazionale, Laterza, Bari 2019, p. 27

[2] ivi, p. 48

[3] Gianluca Argentin, Gli insegnanti nella scuola italiana. Ricerche e prospettive di intervento, il Mulino, Bologna 2018, pp. 161-162

[4] ivi, p. 193

[5] ivi, p. 217

 

Riferimenti bibliografici

Gianluca Argentin, Gli insegnanti nella scuola italiana. Ricerche e prospettive di intervento, il Mulino, Bologna 2018

Gianfranco Viesti, Verso la secessione dei ricchi? Autonomie regionali e unità nazionale, Laterza, Bari 2019

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