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Editoriale luglio/agosto 2016

La giovane Europa

di Antonio Errico

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Il fatto che in Gran Bretagna i giovani abbiano votato in massa per la permanenza nell’Unione Europea proietta la riflessione molto al di là dell’esito del referendum, connotandola di elementi che assumono significati autenticamente e inequivocabilmente culturali. Si tratta, cioè, di differenze tra visioni del mondo. Le visioni del mondo comportano, tra le molte cose, anche una idea di confine, di frontiera, di scambio, di comunità, di comunione, di comunicazione, e sono determinate, se non esclusivamente comunque prevalentemente, dai processi di formazione. I giovani hanno frequentato e frequentano scuole in cui la formazione alla cittadinanza europea costituisce una delle finalità sostanziali. Di conseguenza, hanno l’Europa nella loro geografia esistenziale, pensano in termini – almeno – europei a livello di studi, di lavoro; si muovono tra i Paesi d’Europa sentendosi appartenere ad ognuno di quei Paesi, sentendo che ognuno di quei Paesi appartiene a loro.
Il senso di appartenenza è quasi sempre conseguenza di una condizione naturale o di una condizione culturale, o dell’una o dell’altra, che si richiamano reciprocamente: si sente di appartenere a qualcosa, a qualcuno, oppure si comprende di appartenere, e spesso si comprende perché un sentimento, un’emozione sospinge verso la comprensione.
Fin dalla scuola primaria, a volte fin dalla scuola dell’infanzia, insegniamo loro la lingua inglese, come lingua della comunicazione, come lingua di tutti, che consente di essere con tutti. Per quanti sforzi possano fare, non riescono ad immaginare di dover avere un passaporto per andare in Inghilterra, per poter venire in Italia. Il lasciapassare è totalmente estraneo alle loro categorie di pensiero. Loro passano: con un volo low cost, per il quale hanno trovato un biglietto che costa anche meno di quello per andare con la littorina da Lecce a Otranto. Passano, e le frontiere degli spazi aerei non si vedono.
Il ragazzo inglese non ce la fa a pensare di avere difficoltà per venire a studiare in Italia; il ragazzo italiano si smarrisce davanti alla prospettiva di avere difficoltà per andare a studiare in Inghilterra. La cosa appartiene al loro progetto di vita. Sono educati, formati anche a questo. Loro non hanno soltanto un concetto, una cultura dell’Europa: nei confronti dell’Europa hanno anche un sentimento.
Così, il risultato del referendum li ha lasciati storditi. Adesso si chiedono che cosa succederà.
L’uomo della strada, innocentemente, forse anche incoscientemente, risponde: niente; risponde che non succederà niente. Semplicemente faranno un altro referendum, lì, in Gran Bretagna. In poche ore sono state già raccolte due milioni di firme.
All’altro referendum, tutti quelli dai cinquant’anni in su, che questa volta hanno votato per andar via dall’Europa, voteranno in massa “remain”. Perché nel frattempo avranno riflettuto di più, avranno capito meglio, avranno messo a confronto le loro paure – comprensibili, rispettabili- con i progetti degli altri, saranno arrivati alla conclusione che la più grande paura vale nulla rispetto al più piccolo progetto. Intanto, noi, da qui, da questo Sud del Sud di un Paese d’Europa, gli manderemo una cartolina con i versi di un poeta che era di queste parti e che dicono così: “ Il Sud ci fu padre / e nostra madre l’Europa”. Quando Vittorio Bodini scriveva questi versi, era il principio degli anni Cinquanta. L’Europa era molto lontana, allora, dal Sud, ma questi versi rappresentavano una esplicita dichiarazione di cittadinanza naturale, profondamente radicata nella dimensione antropologica, una condizione che riconosceva l’origine di una identità.
Un’analisi semplicistica, sicuramente. All’uomo della strada succede abbastanza frequentemente di fare analisi semplicistiche. Però si giustifica considerando che corrispondono ad una speranza. Nel frattempo è consapevole che ci sono molte questioni che occorre ripensare, rivedere, rivalutare. E’ consapevole che non è bastata e non potrà bastare mai una moneta per costruire una comunità. Un comunità si può costruire su un progetto di esistenze, per le esistenze.
E’ consapevole che bisogna ricominciare, ripartire. Anche se non sa bene da dove ricominciare, da dove ripartire.
Allora gli viene in mente che probabilmente si deve ricominciare dai risultati del referendum, da quei dati che esprimono la volontà dei giovani. Per il semplice fatto che da loro dipende tutto; da loro dipendono anche i destini di tutti coloro che giovani non sono.
C’è un libro di Jacques Le Goff che si intitola “L’Europa raccontata ai ragazzi”. A pag. 130, l’ultima pagina, il grande storico francese scrive che l’Europa non deve essere soltanto al servizio dell’economia, del denaro, degli affari, degli interessi materiali. Deve essere un’Europa della civiltà, della cultura. E’ questa la sua carta vincente perché è questa la sua eredità più preziosa.
Deve essere un’Europa dei diritti dell’uomo – un principio che essa ha creato –, della donna, dei bambini. Un’Europa più giusta, che lotti contro le disuguaglianze, la disoccupazione, la discriminazione, mali che soltanto uniti gli europei potranno far scomparire. Scrive Le Goff: io penso che la realizzazione di un’Europa bella e giusta sia il grande progetto che si offre alle nuove generazioni.
Ecco, quest’ultima pagina deve diventare la prima di un nuovo racconto che dice di un’Europa della solidarietà, della pace, della cooperazione, dello sviluppo, della democrazia, del progresso, dell’integrazione, della libera ricerca e del libero lavoro. Da quest’ultima pagina, da un grande progetto che si affida ai giovani, si deve necessariamente, urgentemente ricominciare.

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In copertina immagine di:
Maria Luna Favia – 3C
Scuola Secondaria 1 grado “G.Pascoli”
del 1° Istituto Comprensivo di Ceglie Messapica (BR)
Dirigente scolastico Dott. Giulio Simoni

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