• martedì , 5 Novembre 2024

Nativi digitali

(m.l.)

I nuovi bambini – Come educare i figli all’uso della tecnologia, senza diffidenze e paure – Paolo Ferri – Bur Varia – 2014
Appena si termina la lettura di questo saggio-guida si ha un senso di amarezza. L’ultimo capitolo infatti focalizza l’attenzione sul sistema scolastico, e il confronto tra quello italiano e quello nord europeo è impietoso. In realtà questo confronto è un fil rouge nascosto – neanche tanto – tra i vari capitoli di questo libro, scritto come guida per genitori e docenti immigranti digitali, nati nella galassia Gutenberg, che contiene molto più che semplici consigli.
Paolo Ferri, professore ordinario di Teoria e tecniche dei nuovi media e Tecnologie per la didattica presso l’Università Milano-Bicocca, parte dallo studio e l’osservazione di suo figlio Davide, nativo digitale come tutti i bambini nati dopo il 2001, e attraverso delle situazioni reali, che aprono ogni capitolo, ci spiega attraverso un’analisi scientifica corredata da un’ampia bibliografia, cosa sanno i nostri figli, perché e come possiamo seguirli in questa loro crescita digitale – senza paure e false credenze – terminando ogni capitolo con dei consigli semiseri (direi molto seri!) per i genitori.
La lettura di questo libro è sicuramente più funzionale in e-book, perché è ricco di link bibliografici che permettono, nel pieno spirito del libro, di spaziare nella rete per aumentare le proprie conoscenze.
Per il nativo digitale le opposizioni vissute dagli immigranti non esistono: per loro la rappresentazione digitale del mondo è solo una di quelle possibili, (…) non c’è contraddizione per loro tra scrivere sul quaderno o sul tablet anche se spesso affermano che ‘col computer è molto più semplice’. Loro apprendono con l’esperienza (learning by doing), ‘smanettando’ sui nostri tablet e pc, a differenza di noi adulti, che tendiamo a procedere in modo lineare e più teorico nello studio di un problema. Questo non vuol dire che il loro atteggiamento sia migliore o peggiore, è semplicemente diverso. E noi dobbiamo essere bravi a guidarli in questo modo diverso di operare, sia da genitori che da docenti. È certo che il cervello (…) si sta evolvendo nel mondo digitale (…) sviluppando delle reti neurali sempre più ramificate e complesse. Pertanto sfatiamo il mito del ‘giocare ai videogame fa diventare stupidi i nostri figli’, anzi, giochi intelligenti che permettono di stimolare la creatività, la logica, il problem solving modificano le connessioni sinaptiche (sia loro che nostre!). Un dato incoraggiante è quello dell’indagine OCSE-PISA-CERI che dimostra come i punteggi migliori sono conseguiti da quegli studenti che vivono e studiano in famiglie e scuole che possiedono le tecnologie, ma sono anche quelli che durante le ore curricolari fanno un uso non troppo assiduo di tali strumenti. Come sempre in medio stat virtus.
In tutto questo c’è un rovescio della medaglia. Nonostante l’Italia sia molto indietro rispetto ai paesi del Nord Europa in fatto di tecnologia, quando si tratta di postare sui social la vita dei propri figli, sin dalle prime ecografie, gli italiani sono molto attivi. Bisogna essere coscienti, anche per insegnarlo ai nativi digitali e proteggerli dalle insidie della rete, che qualunque cosa immessa sul web non è più cancellabile, resterà traccia a vita di tutto quello che postiamo e gli usi impropri che se ne possono fare sono infiniti.
L’ultimo capitolo, riportando le indicazioni del trattato di Lisbona dell’UE e tre esempi di “scuole nuove” europee, ci fa capire (anche se sicuramente ne siamo tutti coscienti) come i nativi facciano un salto indietro nel tempo quando entrano in scuole ferme al 1985 – salvo rarissime eccezioni.
Molto stimolante, sia per dirigenti che per docenti – ma soprattutto per chi cerca di realizzare una buona scuola – il modello di scuola digitale proposto da Ferri: peccato che per realizzarlo come minimo dovrebbe esserci una connessione internet in ogni scuola.
Leggendo questo libro da genitore di un nativo digitale ho riscontrato tutto quello che Ferri scrive negli step di crescita digitale di un bambino che, come tanti, a un anno e mezzo sapeva già usare un touch e che oggi a cinque sa già fare video, mi batte ai video game e sa usare Youtube senza neanche saper leggere. Ma ho anche tristemente rilevato la realtà scolastica presentata. Perché un nativo dovrebbe trovare interessante studiare un fenomeno fisico su un libro quando può vederlo su Youtube, su altri canali tematici che la rete offre o realizzarlo in un laboratorio digitale?

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