• venerdì , 29 Marzo 2024

L’uomo della strada ci salverà dall’invadenza della tecnologia

di Antonio Errico

Nel corso di una conversazione con Roberto Saviano, pubblicata su “Robinson” di “Repubblica”, Yuval Noah Harari, l’autore di “Sapiens”, “Homo Deus” e “21 lezioni per il XXI secolo”, sostiene che tra venti o trent’anni la tecnologia contenuta in uno smartphone sarà inserita direttamente nei nostri cervelli tramite elettrodi e sensori biometrici. Sarà in grado di monitorare quello che accade all’interno del corpo e del cervello in ogni momento. Potrà conoscere i nostri desideri, le nostre sensazioni, i nostri sentimenti. Prenderà decisioni nel campo della prevenzione medica, degli affari, delle relazioni sentimentali.

Potendo fare affidamento sulla loro potenza, ci lasceremo guidare da computer e algoritmi in maniera crescente, fino a farli diventare parte di noi stessi.

Allora, se si escludono i processi e gli strumenti che riguardano la medicina, cioè quella condizione che migliora la vita delle persone, tutto il resto fa paura. Detto banalmente ma semplicemente, con incompetenza ma sinceramente, da uomo della strada ma onestamente, tutto il resto fa paura. Che visibili o invisibili macchinette, microscopici (o macroscopici?) apparecchi possano manipolare i meccanismi del pensiero, la memoria, la previsione, l’immaginazione, che possano fare scelte che un uomo – liberamente – farebbe in modo diverso, che possano anche determinare emozioni e sentimenti, che un programma stabilisca chi si deve amare e chi no, ad una persona normale fa paura: deve far paura. Deve indurla a domandarsi che cosa perde e che cosa ci guadagna da una realtà che di fatto stravolge la natura. Comunque, al di là delle domande e delle possibili risposte, rimane una sensazione di paura per una mutazione che in precedenza probabilmente non si è mai verificata, per una situazione che afferma la definitiva prevalenza (o la sovranità assoluta?) della dimensione tecnologica rispetto alla dimensione dell’ umano.

L’uomo della strada che non conosce gli aspetti tecnici si chiede, per esempio, se i meccanismi di funzionamento e gli esiti che essi produrranno saranno uguali per tutti. Si chiede se penseremo tutti allo stesso modo e le stesse cose, se faremo tutti le stesse scelte, se i programmi orienteranno le nostre esistenze verso la stessa direzione. Insomma, se saremo tutti uguali, negandoci la meraviglia della differenza, se replicheremo pensieri e azioni, cancellando la nostra irripetibilità, se saremo perfetti, privandoci della stupenda imperfezione che ci è stata data in dono da un peccato originale.

Nella sua assoluta mancanza di conoscenza, nella sua totale incompetenza, l’uomo della strada queste cose se le chiede, sperando che qualcuno lo rassicuri sul fatto che certamente no, non sarà cosi.

Però, fino a questo momento, nessuno è stato in grado di dargli questa consolazione.

Qualcuno invece lo ha rassicurato sulla circostanza che si tratta di evoluzione.

Sull’associazione delle previsioni di Harari al concetto di evoluzione, l’uomo della strada nutre qualche perplessità, anche profonda.

E’ assolutamente convinto che l’evoluzione dell’uomo sia senz’altro legata alla condizione di benessere, ma anche allo sviluppo dell’immaginazione, della creatività, alla maturazione e all’espressione dell’autonomia e della libertà di pensiero.

Per cui si chiede se quegli elettrodi e quei sensori biometrici che saranno inseriti direttamente nel nostro cervello possano contribuire a sviluppare l’immaginazione, la creatività, l’autonomia di pensiero, a potenziare la libertà d’espressione, a maturare una maggiore consapevolezza.

O se sarà l’esatto contrario.

Forse stiamo davvero accelerando in modo innaturale, sproporzionato, tutti i processi di trasformazione. Stiamo scombinando gli assetti della natura e della cultura senza selezionare, senza distinguere il positivo dal negativo, il bene dal male. Ma non si può addebitare una qualche responsabilità alla scienza o alla tecnica; non se ne può addebitare neppure alla tecnologia. La responsabilità è nell’uso che ciascuno ne può fare, nella direzione che, da parte di tutti, si dà alle possibilità che esse hanno.

Ma l’uomo della strada ripone ancora una qualche fiducia nella dimensione sentimentale, nella componente che fa agire l’istinto di sopravvivenza, nella contraddizione che spesso si verifica all’interno dei processi della storia. Ad un certo punto, gli uomini tenteranno di salvarsi la vita.

Forse accadrà quando ci verrà la nausea – perché ci verrà la nausea – di tante inutili macchinette inventate dalla tecnologia, quelle che ci ingombrano le giornate e il cervello. Allora ci terremo soltanto la scienza buona, la buona tecnica, la buona tecnologia: quelle che servono davvero agli uomini.

Qualcuno dice che si tratta di ingenuità. Qualcuno dice che non ci si può più fermare, perché il mercato ha le sue ragioni che prevalgono su qualsiasi altra ragione.

Eppure può accadere. Eppure si può sperare che esistano ragioni dell’umano più forti di quelle del mercato.

Certo, indietro non si torna. Non sarebbe neanche giusto. Anzi sarebbe deprimente. Al progresso non si può e non si deve rinunciare.

Indietro non si torna, ma si può scegliere una strada migliore per andare avanti.

Allora l’uomo della strada ripensa alle profezie di Harari e gli fanno meno paura. Anche se gli scenari che prospetta sono possibili, sono probabili. Anche se il discorso è lucidissimo e le ipotesi risultano dall’analisi dei fatti. Ma occorre avere fiducia anche negli umori delle masse, nelle loro rivolte. Spesso è dal malcontento, dall’esasperazione che vengono le rivolte. Prima o poi, le masse avranno un rigetto di tutto questo falso sviluppo, di tutto questo falso progresso. Capiranno che si sta andando velocemente, sempre più velocemente, verso uno svilimento dell’umano. A quel punto tireranno il freno. Lo faranno d’istinto, senza starci troppo a pensare.

Ci salveremo all’ultimo minuto. Come in certi film, quando il treno si ferma, dopo una corsa folle su un binario morto, si ferma sulla soglia del precipizio, quando tutto sembra ormai finito, e i passeggeri scendono e guardano le margherite, con lo stupore di chi incontra la bellezza per la prima volta.

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