• martedì , 19 Marzo 2024

“Così impari”: per un’autonomia dell’apprendimento

Il saggio di Maurizio Parodi ripercorre studi pedagogici ed esperienze scolastiche, a sostegno dell’abolizione dei compiti per casa

Di Antonio G. Lupo

 

Abstract

Quella portata avanti da Maurizio Parodi in “Così impari” è una proposta pedagogica a portata di tutti gli alunni, per una scuola dove si insegna e si impara in modo più interattivo e partecipato, senza compiti da svolgere a casa, oltre paradigmi e rituali obsoleti (deresponsabilizzanti e sempre meno efficaci), in linea con i Paesi europei.

 

Maurizio Parodi, “Così impari. Per una scuola senza compiti”, Castelvecchi, 2018

Dopo la pubblicazione di  Basta compiti. Non è così che si impara (Sonda, 2012), con Così impari, saggio suddiviso in tre parti (I compiti – Gli insegnanti – La ricerca), Maurizio Parodi ritorna ad argomentare ad ampio raggio sulla questione dei compiti per casa, sviscerandone le diverse problematiche. Pedagogista e formatore, già dirigente scolastico, l’autore continua a richiamare l’attenzione di docenti e  genitori sull’inutilità e sulla inefficacia pedagogica del lavoro domestico che gli alunni, fin dal primo anno della scuola primaria, sono obbligati a svolgere a casa. Didatticamente più opportuno sarebbe invece imparare ad imparare in orario scolastico, sotto la guida “non delegabile” dell’insegnante.

I titoli dei due saggi racchiudono sinteticamente l’importanza della questione, recentemente divenuta oggetto di costruttivo dibattito sui social network tramite il gruppo Facebook Basta compiti (oltre 13mila iscritti, circa 35mila adesioni sulla piattaforma change.org): una iniziativa che si è via via incrementata con la diffusione della rete nazionale Docenti e Dirigenti a compito Zero.

 

“L’inveterata e convenzionale prassi dei compiti non risulta legittimata da alcuna teoria pedagogica – sostiene Parodi – e la sua validità non risulta, tra l’altro, provata neanche da ricerche e studi specifici”.

Notevoli sono invece le controindicazioni pedagogiche e sociali, a partire dagli aspetti relativi alla gestione del tempo libero, in contrasto con la norma che prevede il diritto al riposo da parte dei bambini (art. 24 della Dichiarazione Internazionale dei Diritti dell’Infanzia), una “colonizzazione della giornata”, che preclude altre opportunità di arricchimento formativo, come quello derivante dalla maturazione di esperienze altrettanto utili, siano esse ludiche, sportive, musicali o artistiche.

Ne deriva che il processo di insegnamento-apprendimento (comunque non concatenato con rapporti di causa-effetto) non dovrebbe essere separato nello iato scuola-casa, tantomeno delegato ad altre figure, come quelle genitoriali

 

Inoltre, viene messo in luce un aspetto non indagato e “mai correlato finora”, l’ipotesi di un possibile legame tra quantità dei compiti assegnati e abbandono scolastico in un periodo in cui è in aumento il problema della dispersione scolastica e degli abbandoni precoci durante il percorso della scuola secondaria di 2° grado: segni di debolezza e criticità accertate dall’OCSE negli ultimi anni. Dall’indagine del 2015 si evince infatti che non c’è relazione tra ore di lavoro domestico e successo scolastico degli alunni quindicenni, i quali impiegano 9 ore settimanali per svolgere i compiti assegnati, mentre la media risulta di 4,9.

Nell’ampia rassegna dei contributi scientifici, in Così impari si attinge dai più recenti studi di antropologia e di etno-psico-sociologia, nell’intento di chiarire i vari aspetti della vexata quaestio e di scioglierne i nodi. Parodi si sofferma perciò sulle teorie e le ricerche dei più autorevoli pedagogisti, a partire da Harris Cooper che, pur considerando tutti i limiti di una pratica didattica radicata e diffusa “per fede pedagogica” (perdita di interesse, fatica fisica ed emotiva, deresponsabilizzazione, riduzione del tempo libero), finisce comunque con l’accettare l’idea del rinforzo e del consolidamento a tempi “regolati” secondo l’età: dai 10 minuti della primaria, in ordine crescente, fino alle 2 ore e mezza dell’ultimo anno della scuola superiore.

 

Tra gli esperti che evidenziano “i falsi miti” di un successo scolastico non garantito attraverso l’impegno domestico, Alfie Kohn sottolinea la necessità che le scuole ripensino i propri paradigmi e i propri rituali, contro il sovraccarico a favore di attività più pertinenti e stimolanti; tesi sostenuta anche da Sara Bennet, Nancy Kalish e molti altri pedagogisti, dalle cui ricerche emerge che l’insuccesso scolastico non è da ricondurre alla mancanza di impegno a casa, per la scuola primaria

Diffuse sono invece le criticità: stanchezza scolastica che allontana dal piacere di apprendere, disagio socio-familiare degli alunni maggiormente in difficoltà, che non possono disporre di aiuti a casa e di cure parentali. Nonostante i punteggi dei test e delle prove somministrate ai bambini della primaria, molti sono coloro che continuano a ritenere che svolgere compiti a casa sia “l’unico modo per seminare buone abitudini di studio” o addirittura che siano indispensabili per la verifica e il consolidamento degli apprendimenti .

Dalle ricerche statunitensi si passa al caso italiano: la rivoluzionaria esperienza di don Milani, le varie circolari ministeriali dal ‘64 al ‘69, tendenti a ridurre il sovraccarico di compiti degli alunni delle scuole di ogni ordine e grado per il giorno successivo a quello festivo, fino all’auspicato inserimento del “Regolacompiti” nei regolamenti d’istituto e nei “patti di corresponsabilità educativa”.

 

Nella seconda parte del saggio, dopo un’accurata premessa metodologica, si passa alle interviste degli insegnanti che hanno attivato la pratica didattica dell’apprendimento cooperativo e laboratoriale, a “compiti zero”, “in ordinario esercizio”, a volte con ostacoli nelle relazioni con i colleghi o con i genitori, ma sempre con entusiasmo per la buona riuscita dell’innovazione, per aver dato ai discenti maggiori opportunità “per comprendere la vita e i suoi alfabeti”, afferma una docente. Gli insegnanti innovativi, in un contesto in cui rimane preponderante la concezione didattica che a scuola si insegna e a casa – con l’esercizio e l’applicazione – si impara, parlano del loro modo di lavorare, raccontano di relazioni con alunni e genitori.

Al di là di una didattica consuetudinaria impostata sul binomio spiegazione-interrogazione, e di una “pedagogia depositaria” (Paul Freire), occorre comunque orientarsi su lezioni partecipate e dialogate, finalizzate all’autonomia dell’apprendimento, più che all’addestramento disciplinare, tenendo presenti sia il curricolo esplicito che quello implicito. Accanto al persistere di prassi tradizionali, tra le quali quella di “insegnare a scuola e imparare a casa”, l’autore non trascura di rilevare, infine, particolari fattori del contesto della situazione italiana: come, ad esempio, la frantumazione curricolare fin dal primo anno, la parcellizzazione del sapere e il superamento dell’insegnante unico.

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