• giovedì , 28 Marzo 2024

Genitori “pericolosi”

Il racconto di una giornata alle prese con i mass media

di Rita Bortone

Sequenze narrative
Sfogliando il “Quotidiano” di Lecce mentre ero ancora a letto, leggevo della lettera scritta da una preside della mia città a più di quattrocento genitori: li attaccava per una circostanza specifica, relativa al mancato rispetto di alcune regole poste dall’Istituto in merito alla fruizione del cortile esterno della scuola, ma lanciava accuse anche pesanti in merito ad atteggiamenti e comportamenti evidentemente manifestati in situazioni pregresse.

“E’ oltremodo mortificante e semplicemente impensabile che questo patrimonio di valori e principi, rappresentato dalle persone del mondo professionale della scuola, venga in un momento sconfermato, offeso e vilipeso dall’altro anello fondante della catena educativa: la famiglia. Sembra paradossale, ma gli episodi di ”indicibile inciviltà”, verificatisi in questi giorni nella comunità scolastica della sede di San Domenico Savio, hanno evidenziato quanto sia fragile un sistema educativo che stenta a condividere in alleanza con la scuola i valori fondanti della legalità e del rispetto delle regole che governano i sistemi sociali”. L’articolo giornalistico sintetizzava poi le mancanze imputate dalla dirigente ai genitori: sistematico arrivo in ritardo senza presentare una giustificazione o firmare un permesso d’ingresso; la sponda che offrirebbero mamma e papà a quegli alunni disinteressati all’apprendimento e negligenti; il deterioramento del linguaggio e la deriva verso l’abuso di violenta e gratuita volgarità, conseguenze del mancato controllo a casa dell’accesso smodato a tablet, smartphone, computer e social; sino alla consuetudine di scaricare sul compagno il comportamento scorretto rilevato dall’insegnante.
Presa da un impeto di rabbia verso gli arroganti atteggiamenti denunciati e di solidarietà verso una collega che aveva il coraggio di dire ad alta voce quanto moltissimi dirigenti lamentano quotidianamente sotto voce, sono andata precipitosamente sulla mia tastiera e, senza neanche fare colazione, ho scritto quello che pensavo e l’ho inviato come contributo allo stesso “Quotidiano”. Ne riporto il testo.
“Solidarietà piena alla Preside Zingarello, con l’auspicio che sia d’esempio ad altri. Leggo della sua lettera sulla stampa e non so nulla della situazione del San Domenico Savio, delle regole imposte dall’Istituto, dei comportamenti pregressi dei genitori. So per certo, però, che i genitori d’oggi, sul piano pedagogico, diventano ogni giorno più pericolosi per i propri figli: permissivismo, giustificazionismo, mancata accettazione dell’errore e della colpa, declinazione di responsabilità e facilità d’accusa verso altri, protezione dalla fatica, beni di consumo a volontà, adeguamento alle mode, accettazione, se non anche compiacimento, di comportamenti smodati, appagamento per un successo comunque conseguito…
Appena nascono, per far felici mamme e papà sono già simpaticissimi cialtroncelli di cui andare orgogliosi. Il patto educativo sta saltando.
Sospesi dalle lezioni un ragazzino che giorno dopo giorno, seduto all’ultimo banco, aveva fatto un buco nella parete di cartongesso che separava due aule, e ricordo ancora l’urlo del genitore che il giorno dopo in presidenza mi accusò, col pargolo preso per mano, di averlo traumatizzato con quell’intervento punitivo: in fondo cosa aveva fatto di male? Solo un buco nel muro! E ricordo la mamma ansiosa e rivendicativa che pretendeva di entrare in classe a portare la colazione al figlio che l’aveva dimenticata a casa, e il suo occhio incredulo di fronte alla mia palese insensibilità: “No, signora, lei non entra in classe. Se oggi suo figlio avrà fame, domani ricorderà di prendere il panino uscendo da casa”. Ma ricordo anche la mamma democraticissima che comprendeva i diritti di tutti ma chiedeva che suo figlio non fosse seduto accanto al ragazzino con disabilità, e quella che trovava eccessivi i compiti a casa e pontificava che i ragazzi il pomeriggio devono esser liberi di giocare o di fare sport o danza o non so cos’altro. E infine ricordo la professionista affermata e firmatissima che, seduta di fronte alla mia scrivania, altezzosamente recriminava di non essere riuscita a fare non so quale comunicazione telefonica alla figlia (i ragazzi allora non erano dotati di cellulari e le telefonate dal centralino della scuola rispondevano a determinate regole), e il mio sforzo nel dirle garbatamente e motivatamente quali erano le regole dell’Istituto in merito alle telefonate e nel segnalarle che, se le nostre regole non le andavano bene, avrei volentieri firmato il nulla osta per il trasferimento della ragazza in altra scuola (la mia frase all’assistente amministrativa: “Teresa, prepara il nulla osta per la signora….” era diventata il simbolo del mio atteggiamento nei confronti dei genitori rivendicativi e arrogantelli che pretendevano di dettare le regole o di contravvenire alle regole a loro piacimento).
Parlo di dieci, quindici anni fa: erano casi isolati, le prime avvisaglie di una situazione che sarebbe precipitata, e continua a precipitare, in pochi anni.
Quello che oggi la Preside Zingarello ha avuto il coraggio di urlare corrisponde al pensiero di insegnanti e dirigenti dell’intera nazione. Ma la paura del contenzioso, della conflittualità palese, della mancata iscrizione, della barbara aggressione, della stampa, della distruzione mediatica impediscono di gridare la rabbia, la stanchezza, l’esasperazione, la rinuncia che ispirano ormai gli atteggiamenti e le scelte di moltissime scuole.
L’ipocrisia nazionale affida oggi alle scuole le deleghe educative più disparate: dal rispetto della Costituzione all’educazione alla cittadinanza attiva, dalla tutela dell’ambiente alla promozione dell’intercultura, dalla cooperazione all’accettazione del diverso, dall’uso ragionato delle tecnologie allo sviluppo del pensiero critico. Ci deve pensare la scuola… Finanziamo dei progetti di scuola. E’ responsabilità della scuola, colpa della scuola. Ma è ipocrisia collettiva. Perché la scuola non ha strumenti di fronte all’avanzare della crisi culturale e morale che attraversa la società e le famiglie. E la società continua, “senza scuola”, a mostrare i segni di un degrado che vede spazzare via le gerarchie di valori, confondere il discrimine tra il bene e il male, irridere la cultura e il sapere, sminuire il senso e il valore di ruoli e istituzioni, smarrire il senso di comunità, affermare spregiudicatezza ed autoaffermazione, sostituire la giusta rivendicazione col diffuso e astioso rivendicazionismo. Che vede l’esser benevoli col proprio senso etico e rigorosi e giustizialisti con gli errori altri, il dar valore al dovere dell’altro e mai al proprio.
Che la scuola negli ultimi decenni abbia perso credibilità e immagine sociale, per responsabilità di molti e talvolta anche sue, è un dato di fatto.
Che la problematicità della pratica educativa e didattica nelle scuole sia diventata elevatissima e spesso insostenibile a causa delle trasformazioni dei costumi, della eterogeneità dei ragazzi, della pervasività della tecnologia, è un dato di fatto.
Ma è un dato di fatto gravissimo che il patto scuola-famiglia, condizione necessaria dell’efficacia educativa della scuola, sta venendo precipitosamente meno. La famiglia è, sempre più, portatrice di valori altri rispetto a quelli cui la scuola è chiamata, faticosamente, ad educare.
Fortunati quei ragazzi che hanno bravi insegnanti. Ma fortunati quei ragazzi cui dal papà o dalla mamma viene dato un ceffone (non importa se fisico o morale) se fanno un buco nel muro o se maltrattano il compagno o se trasgrediscono una regola, o se mancano di rispetto ad un insegnante. Fortunati se non viene portata loro in classe la colazione dimenticata a casa, fortunati se viene loro limitato l’uso del tablet o la visione di certi programmi TV. Fortunati se non è loro concesso il “diritto” di non fare i compiti”.

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