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Editoriale ottobre 2014

Una nazione in pericolo

di Antonio Errico

VISIONA QUI IL NUMERO COMPLETO DI OTTOBRE 2014  

Nel 1983 fu pubblicata negli Stati Uniti una relazione sulla scuola intitolata “A Nation at Risk”, la Nazione in pericolo, nella quale si arrivava a sostenere che le fondamenta del sistema scolastico erano erose da una crescente mediocrità che costituiva una minaccia per il futuro del Paese.

Si diceva nella relazione che se una potenza nemica avesse tentato di imporre all’America il mediocre livello di prestazioni scolastiche che, in realtà, veniva registrato, con molta probabilità si sarebbe considerato quel gesto come un atto di guerra. “La nostra società e le sue istituzioni scolastiche hanno perso di vista gli scopi fondamentali della scuola, nonché le aspettative elevate e gli sforzi metodici  richiesti per conseguirli”.

Ora viene da chiedersi se, tenendo conto di alcuni dati, anche l’Italia possa essere considerata una nazione in pericolo.

Se più di 300.000 ragazzi di età inferiore ai 18 anni, residenti nelle regioni meridionali, non hanno mai fatto sport, non sono mai andati al cinema, non hanno mai aperto un libro o acceso un computer; se la partecipazione ad attività di educazione formale o informale per adulti è in Italia la più bassa tra i paesi OCSE; se le competenze dei quindicenni italiani sono inferiori a quelle riscontrate mediamente  tra i loro coetanei dei paesi OCSE, allora l’Italia è una nazione ad alto rischio sociale e culturale.

(I dati che riporto in questo articolo sono ripresi da Giovanni Solimine, Senza sapere. Il costo del’ignoranza in Italia, Laterza, 2014).

Se il livello e la consistenza della formazione di intere generazioni rappresentano una condizione strategica per la capacità di competizione e di sviluppo – e quindi di civiltà – di un paese, si rivela urgente la ricerca di soluzioni che affrontino in modo strutturale il problema della inadeguatezza delle competenze essenziali, per evitare che il consolidarsi  e stratificarsi di questa inadeguatezza  produca effetti devastanti sulla fisionomia formativa di ciascuno e sul progresso di una società.

Allora c’è bisogno di una progetto organico, coerente e coeso, costante e sistematico,  che si ponga l’obiettivo di costruire un sistema scolastico capace di formare persone in grado di affrontare la complessità sociale, economica, culturale del presente e degli anni a venire.

Il dibattito sulla scuola, in Italia, si sviluppa quasi ininterrottamente. Spesso con contrapposizioni, anche pretestuose, che di fatto attirano l’attenzione su temi e problemi, se non proprio marginali, comunque non sostanziali. Da anni manca la dimensione di una visione prospettica. Manca la continuità dei processi di riforma. Manca una risposta (una qualunque risposta), imprescindibile ed essenziale, all’interrogativo sul tipo di formazione che si intende conseguire. Manca la progettazione e la pratica di integrazione di pensiero umanistico e pensiero scientifico; in poche parole manca la struttura, l’impianto fondante dei saperi che nella scuola di questo secolo si intendono costruire.

Se non si comincia – da subito, senza indugiare – a lavorare innanzitutto alla strutturazione di un percorso di formazione unitario e compatto, flessibile ed aperto alle specificità e alle prospettive culturali dell’Europa e del Mediterraneo, la nazione – questa Nazione che abitiamo, che amiamo per il suo passato e forse di più per il suo futuro – può diventare una nazione in pericolo. Sperando, con tutto il cuore,  che non lo sia già.

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