• sabato , 27 Aprile 2024

Per una dirigenza vera

di Francesco G. Nuzzaci

  (parte prima)

1-  La chance è stata offerta con 44  twitter, compendianti le linee guida della riforma della pubblica amministrazione – a firma congiunta del presidente del Consiglio dei ministri e del ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione -, nel cui ambito si intende procedere al radicale riassetto di tutta la dirigenza pubblica.

Dovremo, perciò, far seguire sull’argomento una seconda puntata, allorquando le predette linee guida  saranno tradotte in norma di diritto positivo, sia pure in fieri, e conosceremo il prefigurato disegno di legge delega.

Il piatto, invero, è forte:  ripristino del ruolo unico della c.d. dirigenza manageriale( infra), ben distinta dai professional  (oggi attributari di mere posizioni dirigenziali e/o, semplicemente, dirigenti quoad pecuniam, siccome intestatari di funzioni svolte in passato, con efficienza, da figure intermedie specializzate); abolizione della distinzione tra prima e seconda fascia; intercambiabilità e rotazione degli incarichi in ragione delle competenze culturali e professionali di ogni dirigente e in esito a una rigorosa valutazione degli obiettivi assegnati e delle capacità organizzative-gestionali  dimostrate, talché ogni dirigente pubblico – normale o (presunto) specifico che sia – sarà remunerato per i carichi quali-quantitativi di lavoro e correlate responsabilità, ovvero per quello che fa e non per dove lo fa! (dalle Linee programmatiche del ministro Madia, illustrate nelle apposite commissioni parlamentari di Camera e Senato).

Piatto forte, dicevamo. Che ci ha indotto a formularci una domanda: il primo interlocutore è Matteo  Renzi o, piuttosto, qualcun altro?

Abbiamo subito scartato i vari soggetti istituzionali e/o i vertici dell’Amministrazione, che inevitabilmente si arroccheranno a difesa degli interessi corporativi e delle odierne rigidità strutturali, che l’annunciata riforma intende rimuovere.

Ma abbiamo, parimenti, escluso le associazioni sindacali cosiddette rappresentative della dirigenza scolastica, unitamente alle sue eteree associazioni professionali: tutti interessati – lo dimostra inoppugnabilmente l’esperienza degli ultimi quindici anni, da quando la dirigenza scolastica è stata introdotta nell’ordinamento giuridico – a mantenerla reclusa nel recinto di un’autonoma area a contemplare la sua ineffabile specificità, che si è tradotta in un trattamento economico deteriore e nella preclusione di ogni forma di mobilità al di fuori della propria riserva indiana.

Non sono interlocutori i sindacati generalisti, che usano le deleghe loro rilasciate da datori di lavoro – tre o quattromila anime, numero peraltro drogato dal deprecabile fenomeno delle doppie o triple tessere – per mantenerli surrettiziamente astretti nel comparto scuola e per eroderne i poteri a tutela della controparte dei lavoratori, indistinta categoria costituita da centinaia di migliaia di docenti e di personale amministrativo-tecnico-ausiliario (rapporto uno a dieci, secondo gli ultimi dati ARAN).

Non lo sono neanche i sindacati ex monocategoriali o professionali (ex, perché poi inglobanti le autoproclamatesi alte professionalità, che sono e restano pur sempre docenti, ancorché interessati a fare carriera), perché, scomparendo la quinta area della specifica dirigenza scolastica, la loro ancora cospicua rappresentanza andrebbe diluita nella prefigurata unica e ben più vasta area dell’intera dirigenza statale.

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